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Arte visiva e architettura
di Vilma Torselli
pubblicato il 10/04/2007
*
Osmosi linguistica e comune base espressiva "per imagines" di due attività creative prodotte dall'uomo.
Oggi più che mai assistiamo ad uno sconfinamento della cultura che, grazie alle possibilità di intercomunicazione ed interdisciplinarità attuate dai moderni mezzi tecnologici, sempre più diviene cultura globale, mentre l'arte, che della cultura rappresenta l'aspetto più squisitamente soggettivo, sembra ormai divenuta un prodotto eminentemente concettuale nel quale è stata abolita ogni differenziazione categorica, correlato a fattori che fino a poco tempo fa parevano estranei, come la ricerca scientifica e tecnologica, rispetto alle quali il confine di separazione si sta sempre più assottigliando.
Come non mai pare vicino il traguardo di un'arte totale, la Gesamtkunstwerk di Wagner, della scuola di Weimar, di Vassilij Kandinskij, di tanti movimenti moderni (Fluxus, Zero, Nouvelle Tendence ecc.) in grado di superare ogni barriera linguistica e culturale, specchio di una società globalizzata, arte come linguaggio universale di comunicazione, di confronto, di crescita.
Ciò perché l'arte è un linguaggio, con un suo alfabeto segnico, o acustico, o visuale, o gestuale che costruisce discorsi completi e complessi, ".... l’arte è al livello più alto del pensiero immaginativo, come la scienza al livello più alto del pensiero razionale." (Carlo Giulio Argan, “Introduzione alla Storia dell’arte italiana”, ed. Sansoni, Firenze 1988).

Da sempre l'architettura è stata un'attività umana fortemente correlata con l'arte visiva, in passato grandi architetti furono anche artisti ed ingegneri, Michelangelo costruisce la cupola di San Pietro e dipinge la Cappella Sistina, Bernini è l'architetto del celebre emiciclo di Piazza S. Pietro e scultore di straordinaria grandezza di una lunga serie di ritratti, solo in seguito all'affinarsi delle tecnologie nei singoli campi di pertinenza le varie figure professionali si separano, incaricandosi ciascuna delle proprie competenze, ma l'architettura e le arti visive conservano nel tempo un filo conduttore comune che le rende indissolubilmente complementari.
Sarà perché anche l'architettura è un linguaggio, come dice Bruno Zevi e come ricorda Tullio de Mauro, e al pari dell'arte visiva anche l'architettura si esprime concretamente attraverso linee, forme, volumi, colori.

I movimenti avanguardisti del '900 sono i primi in ordine di tempo a beneficiare di una circolazione delle idee inimmaginabile appena qualche decennio prima, grazie agli sviluppi delle tecnologie della comunicazione, è per questo che la loro base teoretica e filosofica si diffonde rapidamente in ogni campo culturale, nella letteratura, nell'arte, nell'architettura, a contaminare tutti gli aspetti dell'attività creativa dell'uomo.
Alcuni movimenti che esordiscono nell'ambito dell'arte visiva, espressione di vere e proprie categorie dello spirito, travasano naturalmente nell'architettura, basti pensare al rigorismo morale del De Stijl di Mondrian e Van Doesburg che declinerà nell'essenziale linguaggio dell'Esprit Nouveau ed in architettura confluirà nel razionalismo di Le Corbusier (egli stesso pittore e scultore).

Uno degli esempi più straordinari dell'osmosi linguistica tra arte ed architettura è rappresentato dalla relazione che lega l'opera di Piet Mondrian alla Villa Imperiale di Katsura, risposta architettonica alla sintesi astrattiva della forma perseguita dall'austero ideale neoplasticista, cui la accomuna una stilizzata semplificazione dei mezzi espressivi, con esiti formali a valenza grafica di sorprendente analogia.
Le precise campiture rettangolari di colori primari, la semplificata bidimensionalità della pittura di Mondrian scandita da stilizzate griglie ortogonali hanno un puntuale riscontro negli spazi rarefatti della Villa e nella levigata piattezza delle sue superfici suddivise da una schematica tramatura di fasce rettilinee.
Frank O. Gehry progetta secondo una intenzionale intercomunicazione tra arte visiva e realizzazione architettonica inserendo nella Ennis- Brown House di Los Angeles pesanti pareti interamente costituite da textile blocks, blocchi modulari di cemento con superfici a decoro plastico in rilievo , che arricchiscono la struttura di connotazioni pittoriche e quasi tattili.
Due artisti di area pop, Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen, realizzano i large-scale projects come sculture monumentali in scala architettonica o architetture incongrue in chiave scultorea, frutto della “convergenza di una costruzione, scultura ed evento, monumento o architettura”, oggetti in scala gigantesca a metà tra architettura, monumento e scultura.
Il catalano Antoni Tàpies riconosce la sua stessa sensibilità plastica intrisa di espressionismo nei muri escoriati delle visionarie architetture di Antonio Gaudì, discorsi di pietra dove la superficie è messa al vivo da una intensa sofferenza interiore, la stessa che Tàpies rivela sotto le superfici seccate dei suoi illeggibili graffiti consumati dal tempo, "un campo di battaglia dove le ferite si moltiplicano infinitamente" e dove l'architettura del suo conterraneo e la sua pittura materica trovano un inaspettato terreno di compromesso e un "sentire" comune.
Peter Eisenman decostruisce la struttura architettonica nella più assoluta indifferenza verso ogni residuo di antropocentrismo, cercando nessi nel campo filosofico, scientifico ed artistico che permettano di trasformare la sua architettura in "pratica critica", così la definisce Antonino Saggio, della cultura moderna, delegando all'apparente caoticità dell'insieme il compito di costruire un altro concetto di universo.
E' ciò che fa con l'action painting Jackson Pollock che, alla ricerca di una totale casualità compositiva, in realtà attraverso lo sgocciolamento del dripping con ritmico movimento pendolare del braccio sulla tela, realizza straordinarie e precisissime strutture frattali, per una nuova chiave di lettura dell'universo, venticinque anni prima della loro formulazione matematica ad opera di Benoit B. Mandelbrot.

Eisenman, che progetta per diagrammi, fa del processo di formazione il tema progettuale delle sue architetture, così come Pollock colloca nel gesto creativo l'essenza dell'opera, con la quale vuole esprimere non un'emozione provata, ma l'emozione nel momento in cui si forma.
Instaurando una insospettata convergenza concettuale, entrambi pervengono ad una realizzazione all over, isotropa ed indifferenziata (qualcuno ha definito Eisenman "sabotatore dei confini del progetto"), che non risponde a nessun dogma preconcetto di centralità spaziale o superficiale, la cui definizione spaziale non è aprioristica, ma viene costruita dall'oggetto rappresentato, sconvolgendo ogni sequenza spazio-temporale ed abolendo definitivamente quello che Eisenman definisce in una recente intervista "tempo narrativo".

Se il substrato comune tra arte visiva (pittura, scultura, fotografia ecc.) ed architettura era in passato costituito dal fatto che entrambe si esprimevano "per imagines", oggi questo legame è messo in forse dalla tendenza dell'arte moderna verso una sempre più accentuata concettualità, in virtù della quale la materia diviene sempre più estranea al processo artistico, dato che l'opera d'arte sempre più si identifica con l'accadere di un evento (vedi happening, body art, performance ecc.).
L'arte "visiva" è sempre meno visiva e sempre più un fatto mentale, a differenza dell'architettura che resta comunque qualcosa che serve, che viene usata, che deve avere una sua materialità ed una funzione.
Ma proprio Eisenman, uno degli architetti moderni più profondamente innovativi, ci insegna a non aver paura delle differenze, a non temere di avventurarci alla ricerca di un nuovo equilibrio, ci insegna che "l'architettura appartiene innanzi tutto al mondo della ricerca intellettuale" (Antonino Saggio, "Introduzione a Eisenman", Antithesi ) che origina, come l'arte, dalla capacità creativa dell'uomo, uno, architetto, artista, scienziato, indivisibile nella sua esseità complessa e unitaria.

* articolo aggiornato il 22/09/2018


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