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Minimal Art
di Vilma Torselli
pubblicato il 1/04/2007
Minimalismo ovvero il massimo risultato con il minor impiego di mezzi possibile, una corrente di connotazione prevalentemente americana, con diffusa influenza anche in Europa.

Il movimento moderno si sviluppa soprattutto attraverso la pittura, una forma espressiva che il '900 eredita dal secolo precedente e che i movimenti avanguardisti scelgono elettivamente come linguaggio predominante per affermare le proprie teorie; il Cubismo ricerca la possibilità di una rappresentazione tridimensionale della forma entro i limiti bidimensionali della tela, rendendo quindi inutile il ricorso alla scultura, e anche quando si esprime nella scultura propone forme scomposte in molteplici piani bidimensionali, chiaramente illogiche nella loro piattezza quando si parla di una forma d'arte plastica che sottintende volume e massa; il Surrealismo, dal canto suo, propone forme che non pretendono di avere una realtà, tantomeno tridimensionale, affidate come sono alla fantasia allucinatoria dell'inconscio, al sogno, alla casualità; il Dadaismo nega provocatoriamente la necessità di creare l'opera attraverso l'eleborazione dell'artista, nel nome di un dissacrante nichilismo che coinvolge soprattutto la scultura. In particolare questi ultimi due movimenti propongono uno stile che sembra fatto addirittura per inibire ogni discorso scultoreo.

Per questi motivi, tra l'inizio del '900 e la fine della seconda guerra mondiale (1900-1945), gli scultori operano in un clima non favorevole, vivacchiando ai margini del turbolento mondo dell'arte in una sorta di isolamento che ostacolerà lo strutturarsi di movimenti di una certa influenza e farà sì che molti dei più validi scultori siano sostanzialmente dei solitari.
Ciò non vuol dire che non ci siano stati in questo periodo straordinari scultori, infatti grandi artisti avanguardisti come Picasso, Matisse, Modigliani, Boccioni, furono anche validi scultori, vuol dire però che la pittura fu il mezzo espressivo decisamente prevalente ed elettivo. Bisogna arrivare agli anni '60, al Concettualismo e all'Astrattismo post-pittorico, che concepiscono il quadro dipinto come un oggetto ("....solo ciò che si può vedere esiste veramente. E' veramente un oggetto...." scrive Frank Stella), per vedere una sorta di equiparazione e di convergenza tra pittura e scultura, acquisendo quest'ultima un'ampiezza di significato come mai in passato.

Tra gli scultori del '900 di maggior talento si possono ricordare Julio Gonzales, Raymond Duchamp-Villon, i fratelli Pevsner, Naum Gabo e Antoine, e soprattutto Constantin Brancusi, che non si colloca in nessun movimento ufficiale, seppure guardato con ammirazione e rispetto dai cubisti e dai surrealisti, e che porta avanti un suo personale discorso teso alla ricerca di uno stile emotivamente controllato, impersonale, in antitesi alla drammatica teatralità dello stile di Rodin, avvicinandosi alla cultura delle civiltà arcaiche. Proprio questa sua attenzione alle espressioni artistiche dell'antichità influenzerà molti artisti suoi contemporanei, pittori come Modigliani, scultori come l'inglese Henry Moore, lo svizzero Alberto Giacometti, l'italiano Marino Marini.

Mentre per la pittura la seconda guerra mondiale determina, negli anni '40, il repentino trasferimento del centro motore del mondo dell'arte dall'Europa e da Parigi a New York, per la scultura non si può dire altrettanto, non vi fu alcuna traumatica rottura con la tradizione europea, molti artisti continuarono ad operare in Europa, anche perchè lo sviluppo della scultura americana, meno avanzato di quello della corrispondente pittura, non era propizio all'innesto di una tradizione culturale nuova e straniera.

Seppure senza proclami ufficiali e con un carattere di fondamentale individualismo, lo sviluppo della scultura corre sostanzialmente parallelo a quello della pittura e della cultura del tempo, Giacometti viene accostato al Cubismo e al Surrealismo, poi alla filosofia esistenzialista di Jean-Paul Sartre, Barbara Hepworth e Naum Gabo rappresentano la componente costruttivista, seppure con venature di poetico irrazionalismo, Arnaldo Pomodoro inaugura con la sua ricerca plastica ad indirizzo geometrico il filone astrattista.

Verso l'inizio degli anni '60 la scultura va incontro ad una rivoluzione graduale confluente in un progressivo minimalismo come reazione ad un imperante Espressionismo astratto che ha ormai esaurito tutte le sue possibilità espressive: ne scaturisce un linguaggio plastico in cui ogni implicazione formalistica è ridotta all'essenziale, dove si utilizzano procedimenti e materiali industriali per sculture spoglie, di impronta geometrica, in grado di attivare un rapporto fisico con lo spettatore piuttosto che indurre reazioni emozionali.
Dopo le incursioni dell'Espressionismo astratto nei meandri della psiche, dopo il fiume di emozioni che l'action painting ha riversato scompostamente sulla tela, la scultura e la pittura minimalista vogliono recuperare la purezza elementare delle cose primarie, l'essenza originaria dell'arte, che è ordine, geometria, semplicità.
Se il minimalismo inteso come possibilità di ottenere il massimo risultato con il minor impiego di mezzi possibile è leggibile soprattutto nella scultura, (basti ricordare gli stranianti, giganteschi attrezzi-scultura di Claes Oldenburg), si può dire che lo spirito di questa corrente sia presente in tutte le manifestazioni intellettuali dell'epoca, perchè esprime un modo di vedere il mondo nei suoi caratteri più generali: in pittura, per esempio, il monocromo di tanti artisti anche italiani non è altro che il tentativo di ottenere un risultato comunque estetico con mezzi minimali, colore, materia, superficie.

Uno dei mezzi di maggior fortuna nell'attuazione di questa rivoluzione in campo scultoreo è l'uso artistico di residuati metallici industriali, utilizzati in composizioni di assemblage saldate, un mezzo che ha avuto illustri precursori nelle avanguardie, per esempio in Picasso e César, ed un largo seguito in tutta l'arte moderna (in Italia vanno citati Alberto Burri e Ettore Colla). Tra gli antesignani di questa rivoluzione, quelli che ne hanno segnato più marcatamente gli sviluppi sono l'americano David Smith e l'inglese Antony Caro da lui influenzato: il primo realizza monumentali, spoglie strutture memori dell'esperienza costruttivista, dapprima in acciaio dipinto poi mediante l'assemblaggio di pezzi industriali, in un linguaggio sempre più sciolto che conferisce alle ultime opere un carattere quasi di provvisorietà, mentre il secondo inizia con assemblaggi di pezzi e rottami industriali per giungere poi all'espressività del tutto personale di massicce sculture ad andamento orizzontale che influenzano spiccatamente lo spazio circostante, producendo nello spettatore alterazioni nella percezione spaziale.
Va ricordata inoltre l'opera di Edoardo Paolozzi, inglese di genitori italiani, figura determinante nello sviluppo della Pop Art inglese, che passa da complicate composizioni di ruote dentate a grandi composizioni di rottami ferrosi vagamente antropomorfe.

Nel 1966 gli artisti minimalisti espongono le loro opere per la prima volta al Jewish Museum di New York, in una collettiva intitolata "Primary Structures", presentando al mondo il risultato di una ricerca plastica che, a partire dagli anni del dopoguerra fino ai giorni nostri, segue un progressivo avvicinamento ad un linguaggio semplificato in opere fortemente strutturate che puntano sul rapporto di scambio energetico tra la scultura, l'ambiente in cui si colloca e l'osservatore.

E' uno stile che, per la prima volta Richard Wolheim, nel 1965, definisce Minimal Art, intendendo così definire un oggetto artistico che fonda le sue caratteristiche estetiche su una paradossale mancanza di contenuto artistico, con chiaro richiamo al ready-made di Marcel Duchamp, in una visione di corsi e ricorsi storici alla quale la storia dell'arte, che rispecchia la storia dell'umanità, ci ha da sempre abituati.

L'apparente semplicità di linguaggio della Minimal Art sottintende in realtà una complessità di contenuti che risultano tanto più difficilmente comprensibili allo spettatore in quanto espressi nei modi di una volontaria mancanza di "bellezza" , di "estetica" tradizionalmente intese: il che fa della Minimal Art un fenomeno sostanzialmente elitario, all'interno del quale trovano posto anche atteggiamenti estremistici strumentalizzati a fini commerciali.
Il linguaggio sofisticato e rarefatto dell'arte concettuale porrà fine al predominio stilistico del minimalismo, spingendosi ancora oltre sulla via di una crisi di rottura tra gli artisti ed il loro pubblico, tuttora uno dei problemi di molta arte moderna.

* articolo aggiornato il 14/02/2015

link:
Storia dell'arte e storia dell'uomo, percorsi paralleli


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