| Le opere di Alberto Burri (1915-1995) sono astratte, informali, 
                  materiche, ma nonostante la relativa ricchezza di aggettivi 
                  loro attribuibili, le opere di Burri appaioni troppo limitate 
                  da queste definizioni: meglio è dire semplicemente che 
                  questo artista pone tra le sue priorità la materia, che 
                  elabora con una sensibilità fisica ed un amore sensuale 
                  e sofferto che trovano parallelo forse solo in Antoni Tàpies e nelle sue "tracce" materiche, eredità e testimonianza 
                  della vita degli uomini.
                   Burri, che compie le sue sperimentazioni fondamentali tra 
                    gli anni '50 e '60, in realtà non si preoccupa di tramandare, 
                    usa materiali consunti, stracci, lamiere, legni combusti, 
                    sacchi, materiali volgari, già vecchi, che danno da 
                    subito la sensazione di una durata limitata nel tempo, destinati 
                    a mutare, degradare, morire, in una chiara metafora di quello 
                    che è il destino dell'uomo. E quando invece utilizza 
                    materiali nuovi, li trasforma, li brucia, li tormenta, li 
                    straccia, caricandoli, attraverso la sua azione, di un significato 
                    inusuale ed intenso, sollecitandoci ad interrogarci sul loro 
                    stato, su quello che erano prima dell'intevento dell'artista, 
                    su quello che è accaduto perchè si siano trasformati 
                    nell'immobile fissità di un'opera d'arte. 
                  Ancora una volta, l'artista sublima i relitti, la materia 
                    di scarto e di recupero, secondo il vecchio concetto dadaista 
                    dell'objet trouvé, del ready-made di Duchamp, dei dipinti 
                    polimaterici di certi futuristi, dei Merzbilder di Schwitters, 
                    ma in Burri l'azione creativa coesiste con l'intenzione distruttiva 
                    di accelerare con un intervento diretto il processo di consunzione 
                    e di logoramento dei residui materici per inglobarvi il concetto 
                    del tempo, che inesorabile trascorre e corrode: il fuoco, 
                    l'essicazione (si veda la serie dei "Cretti" degli 
                    anni '70) sono mezzi per attuare una forma di purificazione 
                    che, devitalizzando l'oggetto, ne amplia il significato simbolico, 
                    le "combustioni" sono materia danneggiata che perde 
                    la sua integrità fisica per acquistare un significato 
                    meta-fisico, perchè solo così può raccontare 
                    la mutevolezza e la caducità della vita. 
                    Come ogni essere umano, l'inerte materia ha un suo vissuto, 
                    secondo una percezione quasi animistica e panteistica della 
                    realtà fisica, partecipe delle vicende umane e come 
                    l'uomo capace di sofferenze, di cambiamenti, di decadimento 
                    e di morte: il concetto di un'arte costruita dall'uomo, destinata 
                    ai posteri, a valenza universale, consegnata all'eternità, 
                    viene così definitivamente superato in una visione 
                    in cui "Non è larte che rappresenta la realtà: 
                    è la realtà che si presenta da sé facendosi 
                    arte" (Francesco Morante), conservando tutte le sue limitazioni 
                    ed imperfezioni.
                     
                    Al di là dell'eterogeneità dei materiali e 
                    dell'apparente casualità degli accostamenti, le opere 
                    di Burri sono sempre saldamente intelaiate in uno schema strutturale 
                    fermo ed equilibrato, secondo una rigorosa legge compositiva 
                    che regola rapporti di spazi, dimensioni e relazioni tra le 
                    masse cromatiche, e, seppure in modo inusuale, determina timbri 
                    ed accenti con gusto quasi classico, sfruttando le diversità 
                    dei materiali eterocliti e le loro caratteristiche superficiali 
                    e volumetriche. 
                     
                    Sono tutti elementi facilmente leggibili in questo "Sacco 
                    e rosso" del 1955, 180x158 cm, una composizione di sacchi 
                    su fondo rosso, una delle molte versioni realizzate, posizionata 
                    trasversalmente al centro del supporto, secondo una sostanziale 
                    simmetria, dove gli effetti pittorici e plastici sono affidati 
                    alle diverse tonalità delle tele, mosse in diversi 
                    spessori e sovrapposizioni, sfilacciate e strappate, percorse 
                    da una "sofferenza" tutta umana che le ha, nel tempo, 
                    sdrucite e consunte fino a farne umili testimonianze di una 
                    "vita" passata con la stessa fatica e lo stesso 
                    dolore che percorre la vita di tutti noi, poveri uomini su 
                    questa terra. 
                     
                    Lo stesso Burri dice :"Nel sacco trovo quella perfetta 
                    aderenza tra tono, materia e idea che nel colore sarebbe impossibile." 
                    E' un sentire laico, mistico e romantico, di contenuta empatia, 
                    la visione di un mondo precario e destinato alla fine nella 
                    poetica di un artista di grande spessore umano e morale, che 
                    ha contribuito in maniera determinante a ridefinire quel mutato 
                    rapporto tra arte e vita alla base di tutta la 
                    cultura moderna nel mondo occidentale. 
                  link: 
                      Celebrazioni per la nascita di Alberto Burri 
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