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Il ponte e la città
di Vilma Torselli
pubblicato il 7/06/2014 * |
Il ponte a struttura reticolare, ispirato alla cultura palladiana importata dai coloni inglesi, icona dell'immaginario visivo del '900 statunitense. |
Kublai “…qual è la pietra che sostiene il ponte?”
Marco: “Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra, ma dalla linea dell’arco che esse formano.”
Kublai: “Perché mi parli delle pietre? È solo dell’arco che m’importa.”
Marco: “Senza pietre non c’è arco”.
(Italo Calvino, ‘Le città invisibili’, 1972)
Il ponte, con doppio significato di simbolo e di funzione, è uno dei più antichi archetipi architettonici, oltre che antropologici e letterari, in bilico tra essere e divenire, separazione e congiunzione, tra diversità ed unità, lontananza e prossimità e nella sua accezione di connessione, tramite e transito esso è metafora di tutto quello che mette in relazione ciò che è distante.
A giudicare dall'iconografia che la pittura, la fotografia ed il cinema americani ce ne propongono lungo tutto il '900, sembra scontato che il ponte non possa che essere quello a struttura reticolare, una scelta al tempo stesso statica ed estetica, ad assecondare un'idea aggressiva ed audace del dominio dello spazio, la stessa che ritroviamo nel protervo verticalismo del grattacielo, elemento caratterizzante dell’urbanistica della metropoli, ma anche dell’organizzazione sociale americana.
Alle impalcature reticolari di ferrovie e ponti del paesaggio urbano metropolitano newyorkese dichiara di essersi ispirato Franz Kline per la sua pittura gestuale carica di tensione dinamica, mentre Mies van der Rohe viene così affascinato dagli scheletri strutturali di reticoli e impalcature che finirà per trasferire la loro disarmante essenzialità nella sua architettura "pelle e ossa" di coraggiosa onestà progettuale.
In nord America, la struttura reticolare rettilinea nella progettazione dei ponti, scaturente da scelte prettamente tecniche, ma ben presto assunta a simbolo grafico intimamente legato a quella cultura, quel tempo, quel paesaggio, viene conosciuta e diffusa attraverso "I quattro libri dell'architettura" di Andrea Palladio, stampati a Venezia nel 1570, tradotti in inglese nel 1716 e giunti nel Nuovo Continente sulle navi dei coloni britannici.
Questo sbarco si rivelerà denso di conseguenze per l’architettura di tutta l’America del nord, dove, assieme al bagaglio culturale di matrice anglosassone, immediatamente viene adottata la tipologia architettonica palladiana che, trasferendosi dalla madre patria alle sue colonie, consolida una sorta di soggezione culturale non ancora superata secondo la quale l'Europa resta, nell'immaginario di ogni americano, la depositaria della cultura e del sapere umanistico.
La Casa Bianca, la villa di Thomas Jefferson ed innumerevoli ville 'palladiane' nel sud degli Stati Uniti, banche ed edifici pubblici muniti di timpano e logge nel classico stile veneto testimoniano ancora oggi questo forte legame culturale, ufficializzato nel 2010 da una Risoluzione Congiunta della Camera e del Senato americano con la quale il Congresso degli Stati Uniti d'America ha dichiarato Palladio "Padre" dell'architettura americana. (1)
Andrea Palladio è il primo a fornire, nei suoi libri, un organico progetto per la realizzazione di un ponte, si tratta del ponte sul Tesina, del 1569, ispirato al ponte di Augusto e Tiberio a Rimini, manufatto romano di duemila anni ancor oggi parte della rete viaria cittadina, che Palladio riprende nelle poderose arcate e nel materiale da costruzione, pietra e mattoni. Sarà l’unico ponte in pietra costruito da Palladio, che nello stesso anno realizza anche il ponte di Bassano, dove il sistema reticolare delle travature portanti è in legno, un manufatto che, grazie alle invenzioni tecnologiche messe in atto, resistette per 200 anni, fino al 1748, anno della piena del Brenta.
Per la verità, nella prima edizione veneziana del trattato palladiano, i ponti reticolari in legno non rappresentano neanche per l’autore stesso un capitolo di particolare importanza, restando l’intelligenza della soluzione in subordine rispetto all’esito monumentale nonché alla maggior garanzia di durata nel tempo assicurati dalla tradizionale soluzione in pietra.
Nel Medioevo la tradizione costruttiva riguardante i ponti era tanto gelosamente custodita che la tecnica esecutiva dei ponti in pietra ad arco (a tutto sesto, a sesto acuto o ribassato) veniva conservata e tramandata dagli ordini religiosi (Fratres Pontificies), derivando il termine 'pontefice' proprio da 'ponte' e dal suo significato simbolico di elemento di congiungimento.
Il ‘900 non solo americano è il secolo della tecnologia, quello in cui questa nazione giovane e ricca sviluppa la più avanzata “architettura del ferro” al mondo, sia nella realizzazione dei primi grattacieli a Chicago che dei ponti a campate di grande luce un po’ ovunque.
Non è un caso che proprio in Inghilterra, la madrepatria mai dimenticata, sia stato eretto nel 1777 il primo ponte in ferro al mondo, il Coalbrookdale Bridge sul fiume Severn, e poi il ponte sul Wear presso Sunderland in Scozia, uno sullo stretto del Menai nel Galles, un altro sull’ Avon presso Clifton, il Royal Albert Bridge a Saltash.
L’America, fedele al suo ruolo di colonia anche sul piano culturale, grazie alla mediazione del trattato di Palladio e ad una industrializzazione nella lavorazione dei metalli in rapido sviluppo, adotta ben presto lo standard del ponte in ferro sospeso con struttura a travi reticolari, interpretando in chiave contemporanea il trattato dell'architetto italiano.
In New York, il ponte di Brooklyn, il ponte di Williamsburg e pochi anni dopo, agli albori del ‘900, quello di Manhattan, megastrutture a grande impatto ambientale, incidono pesantemente sia sullo sviluppo urbanistico-planimetrico della città sia sul contesto ambientale per un vasto raggio d’orizzonte, dato che, per le monumentali dimensioni, diventano l’inconfondibile ed immancabile sfondo del panorama cittadino. |
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© Copyright Gianmarco Chieregato, "Manhattan Bridge", 2014 |
Il Manhattan Bridge di Gianmarco Chieregato si affaccia tra due edifici di mattoni che, nell’illusorio gioco prospettico dell’inquadratura, competono in altezza con i piloni del ponte, alto e snello nella ripresa dal basso, non solo struttura funzionale, ma vera e propria opera architettonica con legittime pretese stilistiche: qualche discreto richiamo ottocentesco nella rastrematura curvilinea dei piloni, il coronamento decorativo del portale, l’arco ogivale ed i ricorrenti motivi ornamentali dei parapetti e delle mensole sono altrettante citazioni delle facciate in ghisa particolarmente numerose nella zona di SoHo, progettate in chiave non strutturale, ma agganciate a muri portanti in mattoni come sovrastrutture puramente decorative.
Il ponte della foto è una presenza ingombrante ma al tempo stesso amica, consueta e quasi rassicurante, un gigante di ferro chiuso nella sua luccicante armatura che veglia su un vecchio isolato tranquillo e anonimo, poco traffico, poca gente, auto d’epoca e qualche bicicletta. |
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Edward Hopper, "Manhattan Bridge",1925 |
Lo stesso ponte che, novant’anni prima, Edward Hopper ha dipinto ripetutamente in una serie di opere a tema, fra le quali “The Lily Apartments from Manhattan Bridge” del 1926, “Manhattan Bridge Loop” del 1928 e questo acquerello e matita su carta, “Manhattan Bridge” nel 1925.
La New York di quasi un secolo fa è assai meno antropizzata, le sponde dell'East River sono occupate da edifici bassi di stile incerto, in primo piano una cabina sbilenca, alcuni carri posteggiati in attesa di merci da trasportare…..
Il ponte svetta sopra questa modesta realtà come un’ala scura dal dinamismo veloce e leggero, pochi i dettagli architettonici della poderosa struttura portante, lontana e velata, la fascia scura della carreggiata taglia diagonalmente per intero lo spazio del dipinto uscendone al margine destro verso una destinazione ignota. |
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Alfred Hitchcock, "Vertigo", 1958 |
La scena deserta e, se si può dire, silenziosa propone il vuoto metafisico di tante visioni urbane di Hopper e, ancora una volta, suggerirà ad Alfred Hitchcock una delle sue celebri inquadrature (“Vertigo”, 1958, Golden Gate Bridge, San Francisco).
Come ci insegna Martin Heidegger (“Costruire, abitare, pensare”, in "Saggi e discorsi", 1976) “un ponte e un aeroporto, uno stadio e una centrale elettrica sono costruzioni ma non abitazioni […..] eppure anche questi tipi di costruzioni rientrano nella sfera del nostro abitare. Questa sfera oltrepassa l’ambito di queste costruzioni e d’altro lato non è limitata alle abitazioni [……] Queste costruzioni albergano l'uomo. Egli le abita, e tuttavia non abita in esse….”.
Nel suo significato archetipico, il ponte è metafora di una condizione esistenziale che mette davanti ad una scelta, alla necessità di decidere tra restare o andare, attraversare o tornare indietro.
Nella città il ponte supera il dualismo tra due sponde opposte creando un luogo di mediazione, uno spazio di transito e di comunicazione che senza di lui non esisterebbe.
In entrambi i casi è un generatore di identità.
Santiago Calatrava, tra i progettisti contemporanei, è forse quello che meglio interpreta la forte connotazione simbolica del ponte, non-luogo di connessione, funzione allo stato puro, proiezione dinamica verso l’ignoto, ciò che mette in relazione le distanze e le diversità, anche quelle tra ingegneria e fantasia, e soprattutto tra materia e idea.
(1) Nel 2010 il Congresso degli Stati Uniti d'America, con una “Concurrent Resolution” che ha visto il voto unanime del Senato e della Camera riconosce ufficialmente “l’immensa influenza di Palladio sulla architettura degli Stati Uniti” ed esprime la propria gratitudine “per l'arricchimento che la sua vita e la sua carriera hanno conferito all'ambiente costruito della Nazione americana”. Nelle premesse la Risoluzione 259 ripercorre gli aspetti salienti della influenza palladiana degli Stati Uniti, definendo i “Quattro Libri dell'Architettura”, il trattato che Palladio pubblicò nel 1570, come la più importante pubblicazione in materia d’ogni tempo.
link:
Il ponte: una metafora dei processi psichici
Fotoricordo di una città
La casa sulla ferrovia
Abitare poeticamente l'ambiente
Poetica del traliccio
* articolo aggiornato il 21/08/2018
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