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Arman, "Poubelle I"
di Vilma Torselli
pubblicato il 20/05/2007
Il linguaggio della quantità, l'accumulo solo apparentemente caotico, perchè "niente è più controllabile del caso".
Armand Pierre Fernandez (1928), che in arte sarà semplicemente Arman, inizia come artista disimpegnato, che ricapitola in una serie di opere influenzate dalle correnti più disparate, dal Cubismo all'Astrattismo, i suoi primi tentativi nel mondo dell'arte.
Non è un artista precoce nè particolarmente dotato, finchè, verso gli anni '60, elabora un suo linguaggio che egli stesso definisce "della quantità", dando vita, con altri artisti contemporanei, a quel Nouveau Réalisme di cui troviamo tracce negli americani Jasper Johns e Robert Rauschenberg, movimento che non diventerà la Pop Art solo perchè in Europa il mercato dell'arte non monopolizza i capitali e le transazioni finanziarie che la ricca America mette in moto ed i potenti personaggi che lo controllano sono tutti là, oltreoceano, italiani, francesi, sopratutto ebrei.

La matrice di partenza degli accumuli è chiaramente dadaista, come è dadaista la matrice della Pop Art (o new dada), tuttavia Arman ne trae una sua personale versione strutturata in modo del tutto originale e programmato, dimostrando, come rileva Pierre Restany, teorico del Nouveau Réalisme, che "la presunzione apparente era una lucidissima volontà".
Scrive ancora Restany : "L'ammucchiamento si impone di colpo come l'enunciazione di un principio fondamentale, di un sistema strutturale della visione.... Ogni oggetto contiene in sé la morfologia esatta del suo ammassamento o della sua rottura....".
E' il modo che Arman sceglie per una appropriazione diretta della realtà, superandone la rappresentazione mimetica, proponendo direttamente l'oggetto in un poetico riciclaggio del materiale urbano, industriale, pubblicitario, dichiarando "La mia tecnica di accumulazione consisteva nel lasciare che (gli oggetti) si componessero da soli. Alla lunga, niente è più controllabile del caso...... il caso è il mio materiale di base, la mia pagina bianca" (dal catalogo della mostra al Stedelijk Museum di Amsterdam, 1969).

Certo queste sue opere, di cui è efficace esempio questa "Poubelle 1", 1960, accumulo in teca di plexiglas 65.5 x 40 x 10 cm oggi al Kaiser Wilhem Museum di Krefeld, tematica di forte significato simbolico più volte ripresa, farebbero la gioia di qualunque dadaista, ironica celebrazione dell'objet trouvé, anonimo scarto della civiltà dei consumi che il gesto demiurgico dell'artista decontestalizza facendone oggetto artistico, trasformando la pagina bianca in poesia, tuttavia, ad un più approfondito esame, le differenze e le innovazioni rispetto al dada non sono poche.

Il concetto dell'accumulo è in realtà estraneo alla poetica duchampiana, basti pensare alla ruota di bicicletta enfaticamente esposta così com'è su un alto sgabello, l'accumulo presuppone infatti un intervento diretto sulla materia, una sua trasformazione, anche violenta, che invece il ready-made duchampiano non prevede: nel caso di Arman l'azione sia fisica che intelletuale esercitata dall'artista sul materiale costituisce il vero evento artistico, quasi in contrapposizione all'opera vera e propria, che perde in parte il significato un po' feticistico del ready-made dadaista.
Differenza rilevante di questo linguaggio eminentemente quantitativo rispetto al Dadaismo è anche una certa sovrabbondanza del messaggio, la uniforme continuità materica della composizione, nella quale gli oggetti, fittamente accostati, incastrati e compressi, invadono tutto il campo visivo con un effetto di copertura totale, addivenendo ad un risultato quasi pittorico: l'occhio dell'osservatore vaga in circolo da un oggetto all'altro, senza soluzione di continuità, senza trovare spazi vuoti, nè soste, nè buchi, in composizioni all over che ricordano da vicino il dripping di Jackson Pollock e la superficie indifferenziata dei suoi dipinti senza verso nè centro, nè sopra, nè sotto.

Non è comunque da sottovalutare l'aspetto puramente decorativistico, che in molti casi Arman ricerca consapevolmente con maggior raffinatezza, realizzando accumuli più leggeri di oggetti uguali tra loro, avvolti in un film di poliestere liquido con effetto di brillantezza quasi preziosa: non va mai perso, comunque, un rapporto con l'oggetto quasi animistico, legato alla capacità che egli possiede di vedere ciò che ci circonda come presenze quotidiane, ma non per questo anonime ed insignificanti, che fanno parte della nostra vita, in dialogo attivo con la nostra interiorità, poichè, cito ancora Pierre Restany: "I suoi oggetti di lusso sono feticci ragionevoli".

link:
Fascino del rottame

DE ARCHITECTURA
di Pietro Pagliardini


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"Reflection" (self portrait)

 

 
 

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