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Jean Michel Basquiat, "Mona Lisa"
di Vilma Torselli
pubblicato il 26/04/2007
La parabola artistica di una meteora dell'arte, un artista maledetto che esprime le contraddizioni del nostro tempo.
Jean Michel Basquiat (1960-1988), metà haitiano e metà portoricano, vissuto a New York e lì morto di droga nel 1988 a solo 27 anni, è oggi considerato unanimamente uno dei graffitisti maggiormente dotati di una sensibilità pittorica ricercata e complessa, percorsa da molteplici echi culturali e contaminata da influenze di vasta portata, che vanno dal Dadaismo all'art brut di Dubuffet alla più recente Pop Art.
La critica ufficiale ha in gran parte sospeso il giudizio su di lui, che ha prodotto, ed in tempi brevissimi, molte, troppe opere per poterle giudicare serenamente ed obiettivamente, ma è indubbio che si debba riconoscere a questo artista "maledetto" una straordinaria efficacia comunicativa, nella quale convergono grafismi arcaici, simboli, parole (tante, quasi per una forma di grafomania), colori sapientemente accordati, tratto deciso ed un innovativo senso della composizione generale su tele di grandi dimensioni tormentate dall'incisività sofferta del segno, riepilogato in un'armonia ritmica di ampio respiro.

Jean Michel Basquiat fu senza dubbio una meteora che attraversò il panorama culturale del suo tempo con una scia incandescente, partendo dal graffitismo, dai muri del metrò, dalle pareti dei palazzi nei quartieri suburbani e giungendo in brevissimo tempo alle più prestigiose gallerie cittadine (la sua prima mostra è del 1981), marchiato dalla fretta di vivere, travolto da sè stesso e dalla droga di cui era schiavo, ma anche da un sistema organizzativo e commerciale, quello degli anni '80, che chiedeva ai suoi artisti di produrre in quantità abnormi opere da smerciare sul mercato euforico dei nuovi ricchi, del capitalismo ottuso che voleva investire in arte e che alimentava innanzi tutto il benessere dei galleristi: per tutti questi motivi non è facile, anzi è forse impossibile, discernere l'uomo dall'artista.

Egli è, comunque, riconoscibile come prodotto tipico della cultura del suo tempo, ricca, aperta alle sollecitazioni etniche, trasgressiva, pronta ad accogliere l'anomalo ed il diverso spesso più per una scelta di moda che per una reale apertura intellettuale, ed otterrà in questo contesto sociale il definitivo riconoscimento sotto la protezione di una figura carismatica di grande spessore, Andy Warhol, padre della Pop Art americana.

Personaggio tenebroso, intriso di cultura rap, funky e jazz, trasgressivo fino all'estremo, Basquiat era adatto, in quel momento, a rappresentare il prototipo di una nascente cultura urbana di matrice popolare, la faccia nera della Pop Art: mentre Andy Warohl ritrae una società consumistica con fredda insensibilità attraverso la pittura fotografica di certe sue opere o con anonimi multipli che riproducono all'infinito la stessa, banale realtà, Basquiat riversa nelle sue opere la crudeltà di quella stessa realtà che lo ha alienato, emarginato e discriminato, urla la sua rabbia per l'indifferenza, la solitudine, la povertà, da eroe senza onore, da randagio artista di strada che compie con i suoi mezzi la sua denuncia sociale e le sue rivendicazioni contro la cultura bianca.

Questa "Mona Lisa", che contiene un curioso ed interessante richiamo culturale desunto dal mondo classico addirittura rinascimentale del tutto estraneo alla formazione artistica di Basquiat, è uno dei molti esempi della sua arte, un’arte istintiva che parte dal corpo, dura e trasgressiva, spirituale, simbolica e sensuale al tempo stesso, dove si intrecciano linguaggi e culture, un'arte meticcia, come lui, dove riecheggiano ancora il suono di archetipi primordiali ed una sacralità profana che ha il fascino delle contraddizioni della cultura contemporanea.
Molto chiara la derivazione dal graffitismo, sarcastica e dissacrante la citazione culturale che passa per la rivisitazione dadaista di Duchamp, per il quale la Monna Lisa baffuta (che Duchamp titola, a proposito di provocazioni, con l’acronimo L.H.O.O.Q. , “Elle a chaud au cul”) vuol significare che la vera essenza dell'opera sta nell'idea che la precede e il progetto, il gioco sottile dell'intelligenza, la formazione del pensiero sono i veri prodotti artistici, l'opera non è che pretesto, traduzione materiale di un discorso e di una riflessione concettuale.
Quella di Basquiat è una Gioconda dei nostri tempi, vista attraverso gli occhi di un protagonista dei nostri tempi, un genio maledetto autodistruttivo e nero.

* articolo aggiornato il 31/03/2019


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