Peter Selz (1919), tedesco di origine ebraica
fuggito dal nazismo e rifugiato in America nel 1936, Professor
Emeritus della facoltà di storia dell'arte all'Università
di Berkeley in California, studioso dell'Espressionismo tedesco,
autore di molti testi critici, già curatore del Museo
di arte moderna di New York e direttore-fondatore del Museo
d'arte moderna della Berkeley, conia il neologismo 'funk', parola
derivata da funky (in realtà un termine musicale) per definire l'arte
presentata in una mostra, nell'aprile/maggio del 1967, tenutasi
proprio al Museo di Berkeley.
L'aggettivo vuol significare qualcosa di ordinario, banale ed
anche un po' stupido, non particolarmente bello nè originale,
tanto che circola al proposito questa battuta: il pubblico spesso
chiedeva agli artisti, vedendo le opere esposte "e voi
questa la chiamate arte?" e loro rispondevano "no,
noi la chiamiamo George!" (o qualche altro nome a caso),
denunciando già da questo primo approccio il carattere
di una forma espressiva che vuol essere innanzi tutto provocatoria,
volutamente volgare e sgradevole.
Nulla sfugge alla pesante satira della Funk Art, non la società,
o la politica, o il sesso, o la religione, rivisitate in chiave
kitsch, con corrosiva ironia, senza censure nè pudori.
Chiaro e non negato il rapporto con il Dadaismo, dato che
sul piano formale e linguistico la Funk Art utilizza l'oggetto
anestetico, l'objet trouvé, quando non recuperi addirittura
lo scarto ed il rifiuto come già aveva fatto, seppure
in termini di maggior eleganza, Robert Rauschemberg nei suoi
assemblages new dada, prediligendo materiali di scarso valore
significativi di una produzione di massa di basso costo e
dubbio gusto, la plastica, la finta pelle, il finto legno,
la ceramica, nelle versioni più banali e correnti.
Il gusto sovraccarico, la sovrabbondanza di messaggi, l'intenzionale
mancanza del senso della misura della Funk Art rappresentano
anche una vivace polemica nei confronti della contemporanea Minimal Art, per certi versi fredda e vuota di contenuti,
in dissonanza con la cultura beat della costa dell'american
southwest, dove il funk si diffonde: infatti, a differenza
del minimal, con la sua purezza impersonale, la Funk Art ama
la rappresentazione ad effetto, ha il gusto per il complicato,
il grottesco, l'aspetto sessuale implicito o scopertamente
esplicito, il lato macabro ed ambiguo della realtà,
un filone che contamina anche altri movimenti degli anni '60
(ad esempio Bad Painting, New Neurotic Realism, e in genere
la Young British Art).
I mezzi, a volte discutibili, che la Funk Art utilizza hanno
lo scopo di ricondurre l'arte sulla via di un certo realismo,
andato perduto con l'affermarsi dell'Espressionismo astratto,
richiamandola ad assumersi una responsabilità sociale
ed in un certo senso "morale" all'interno della
collettività.
Tra i maggiori esponenti vanno ricordati i nomi di Horace
Clifford Westermann, Robert Hudson, Allen Jones, Robert Arenson
e William Wiley.
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