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Il concetto senza oggetto
di Vilma Torselli
pubblicato il 18/12/2006
"siamo troppo civilizzati per riuscire ad afferrare ciò che è ovvio" (Raffaele La Capria)








L'arte concettuale nasce ufficialmente negli anni '60, quando Joseph Kosuth, americano dell'Ohio per primo si chiede se è possibile esaminare secondo schemi logici ed analitici le relazioni fra linguaggio ed arte, con l'intenzione di proporre una forma d'arte che non miri più a produrre un passivo godimento estetico, bensì a definire l'attività del pensiero, a comunicare un concetto, ad avviare nello spettatore un processo di riflessione sulla nozione stessa di arte, sui suoi rapporti con la realtà, sul sistema del contesto nel quale si colloca.

E' così che il concetto di arte si amplia e si modifica, sconfina nella filosofia dell'arte, nella psicanalisi, nelle problematiche dell'attualità, perché l'artista concettuale non mira a creare oggetti o opere artistiche, ma idee, discorsi, riflessioni in una comunicazione astratta ed una rappresentazione logica che escluda ogni componente emozionale, ogni ambiguità rappresentativa per acquisire l'esattezza e la razionalità univoca della scienza.

Per un'opera d'arte che coincide con l'analisi del linguaggio e del sistema artistico, non più il risultato di un metodo intuitivo, ma di un metodo analitico-scientifico attraverso il quale comunicare un concetto al di fuori di ogni forma di referenzialismo, i mezzi espressivi utilizzabili sono assolutamente liberi, video, film, happening, performance, body-art, installazioni, narrativa, quando non si giunga addirittura all'assenza dell'opera vera e propria tradizionalmente intesa, nel caso in cui il prodotto artistico, introducendo il concetto di temporaneità, diventa un fatto che accade, un evento del quale resterà traccia solo nella memoria.

Sinteticamente, per usare parole di Francesco Morante, si può definire il "concettuale" come "un'arte che riesce a fare a meno delle opere d'arte", nel senso che il concettuale sostituisce alle cose il concetto delle cose mediato da una libertà di linguaggio che si dilata oltre ogni limite conosciuto, allontanandosi anni luce dalle forme artistiche precedenti, anche nelle loro manifestazioni più trasgressive.

Tuttavia, se analizziamo il corso del '900 e fenomeni come il Dadaismo di Duchamp, il New Dada, la Pop Art, il Nouveau Réalisme, l'opera provocatoria di Robert Rauschenberg, l'action painting di Jackson Pollock, le rappresentazioni di Yves Klein, notiamo come queste modalità espressive, che non vogliono produrre un oggetto artistico, ma proporre un nuovo modo di lettura sia della realtà sia di ciò che correntemente viene definito arte, altro non siano che anticipazioni del concettuale e che, addirittura, tutta o quasi l'arte moderna si possa definire concettuale.
Infatti, con la rinominazione dell'oggetto liberato dalle sue normali relazioni con il contesto e analizzato ex-novo al di fuori del suo significato storico-sociale, con la de-realizzazione della realtà sostituita dal meta-fisico, con la rinuncia alla rappresentazione e alla narrazione dei fatti per una loro traduzione anoggettuale, l'Astrattismo, l'Informale, lo Spazialismo ecc. cosa fanno se non rappresentare concetti?

E' innegabile che questo processo di rarefazione abbia prodotto una frattura tra l'arte ed i suoi fruitori ed oggi accada che, come afferma Luigi Baldacci, il destinatario sia "assente o sconosciuto al portalettere".

Cosicché quello che Raffaele La Capria definisce ironicamente "il concettualismo degradato di massa" ('La mosca nella bottiglia. Elogio del senso comune', Rizzoli, 1996) anziché rappresentare una nuova chiave di lettura del contemporaneo, diventa invece, per effetto di una generalizzata e generica intellettualizzazione dell'arte, un inutile diaframma che impedisce di "afferrare ciò che è ovvio" e sospinge sempre e comunque ad una lettura concettuale del moderno, dove la spiegazione dell'opera sostituisce l'opera stessa.
Il rischio evidente è quello di approdare a posizioni aridamente didascaliche e ad una autoreferenzialità narcisistica dove viene a mancare lo spazio per quel processo identificativo senza il quale la fruizione dell'arte non è possibile.

"Al mio senso comune non importa proprio niente del significato, vuol essere solo sedotto e abbagliato dalla Bellezza.", così scrive ancora Raffaele La Capria, e ci rammenta che la facilità può essere difficile mentre nulla può essere talvolta più complesso della semplicità, e che libertà di intelletto e di giudizio significano capacità di distinguere e di recuperare il "senso comune" di un'arte anche ovvia per credere, banalmente ma non paradossalmente, che sarà la Bellezza a salvare il mondo.


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