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PRENDETE E GUARDATELA TUTTI.
Arte al volere.

di Stefano Elena
pubblicato il 25/11/2009
Riflessioni da Berlino, dove visitare una mostra rientra tra le ordinarie amministrazioni della vita quotidiana di tutti, un rituale consueto e normale della vita usuale.
Scorpio’s Garden
Julian Göthe
Voices from the off 3, 2008
Courtesy the artist; Galerie Daniel Buchholz, Cologne/Berlin
Scorpio’s Garden, 2009
Installation view: Temporäre Kunsthalle Berlin 2009
Photo: Jens Ziehe, Berlin
© Temporäre Kunsthalle Berlin
Berlin 08/09
Tacita Dean
Palace, 2005
© Tacita Dean
Le primarie divergenze che possono riferirsi alla cultura, nello specifico all’arte, risiedono nell’approccio. Il modo con cui si sceglie di adoperarsi alla consumazione dell’arte può arrivare a costituirne l’interesse, l’importanza, la frequentazione e, in special modo, la definizione mentale attraverso la quale viene collocata all’interno della cartella “Propulsioni Creative”.

Qui a Berlino, da qualche tempo ricorrente richiamo geografico per ogni giovane artista in vena di confronto e di stimolazione interiore, visitare una mostra rientra tra le ordinarie amministrazioni della vita quotidiana di tutti, quella cioè normale, quella cioè dei giorni qualunque, quella cioè che altrove (senza fare nomi) riesce ad annoverare tra i suoi maggiori voleri, in ordine sparso perché ognuno ha le sue personali priorità: incombenze domestico/alimentari; adempimenti social-sessuali; assolvimenti (e assoluzioni) religioso-sportivi; avanzamenti professionali e inalazioni catodiche.

Rispetto alla gente di certi altrove, dove a quanto pare i voleri non sono così lontani dai doveri quanto dovrebbero, la gente di qui edifica un proprio spazio vitale dedicato all’apprezzata ospitalità dell’arte, riuscendo così, oltre che semplicemente a godere di una dimensione comunicativa multiforme, a consentirne l’adattamento alle tempistiche della vita usuale e non più a quelle della vita speciale, da serata diversa, vestito elegante ma sobrio (l’eleganza deve essere sobria, dicono sempre), vado così posso dire di essere andato, fa freddo ma almeno faccio qualcosa di nuovo, dai andiamo che c’è un sacco di gente e di roba da bere.

Qui capita quindi di notare che i musei sono visitati, che dentro c’è gente pagante e guardante, magari è pure la mattina di un giorno feriale e chi è libero, chi potrebbe impegnarsi nei soliti doveri dell’altrove, entra dentro e guarda l’arte, anche se non ha ancora aperto le bollette e forse deve persino finire di comprare le cose che gli servono, fuori.

AL Temporäre Kunsthalle, per esempio, il pubblico NON trascurava le cose importanti passeggiando tra le opere della mostra “Scorpio’s Garden”, una selezione di circa 35 artisti internazionali legati professionalmente (e forse non solo) alla città i cui lavori compongono un allestimento “cespuglioso” della scena contemporanea. Il giardino, il garden, è la stessa Berlino, “di Scorpio” perché Kirstine Roepstorff, artista Berlin-based e curatrice della mostra, ha valutato la presenza del segno zodiacale dello Scorpione in occasione di due fatti decisivi per la capitale germanica: il suo compleanno (la prima menzione della città risale a un documento datato 28 ottobre 1237) e la caduta del muro (9 novembre 1989). Sarcasticamente spiazzante l’installazione di Henrik Olesen (Esbjerg, 1967) che simula il cedimento di un pezzo di muro dello spazio espositivo, affrontando così senza drammatizzare la fatidica questione “MAUER” e le implicazioni tra scultura e ambiente circostante. Enormemente modesto e sensibile l’intervento di Judith Hopf (Kartlsruhe, 1969), fatto di un ramoscello d’albero che spunta dalla parte superiore di una parete, a rimandare ai rapporti tra città e vita privata, tra barriere e spontaneità.

Alla Berlinische Galerie è invece allestita sino al 31 gennaio “Berlin 89/09-Kunst zwischen spurensuche und utopie” (“Berlino 89/09-Arte tra tracce del passato e utopie future”), iniziativa che, pur motivata e voluta dall’anniversario della caduta del muro (ne ricorre quest’anno il ventennio), riesce a diventare una panoramica succulenta e priva di moralismi storici, grazie alla quale valutare l’operato di artisti di richiamo internazionali (Sophie Calle, Tacita Dean, Wolfgang Tillmans…) e (non soltanto) le pur presenti decisive ripercussioni di una città e tante vite tagliate in due per quasi trent’anni.

Qui si sente, che l’arte può far bene.
Si evidenziano le sue proprietà di “corpo parlante”, si assiste al continuo ingerimento come a quello di qualcosa di habitué, di consueto, di ordinario.
Perché l’arte è, ordinaria. A dispetto delle tanto decantate tavole di decifrazione, decriptare l’arte contemporanea richiede appena un po’ di leggibilità emotiva e predisposizione per gli sconfinamenti linguistici.
Ed è proprio solo assumendola secondo somministrazioni casuali, da passeggio, le stesse usate per le vetrine di sempre, che possiamo ulteriormente comprenderne gli alfabeti e proporle dialoghi.

L’atteggiamento “non la capisco, non mi interessa” è il più inutile e passivo tra quelli possibili. Serve solo a creare ennesime distanze e a rincarare la dose, quella sì davvero drammatica, dei voleri che diventano sempre più i nostri doveri…

Buona fortuna.
Berlin 89/09
Raffael Rheinsberg
Brigade (detail), 1990
36 pale da neve
Foto: Kai Becker, Berlino
Berlin 89/09
Tobias Hauser
Walden in Leipziger Platz, 2002
Lightbox, struttura in legno

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