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ARTPEDIA
Glossario d’arte a puntate in disordine alfabetico
di Stefano Elena
pubblicato il 14/10/2009 |
Una rilettura aperiodica e
a puntate dei termini a mio avviso davvero rilevanti componenti
l’armadietto dell’arte. |
"Pierre Hébert all'Init, Roma"
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In un frangente in cui pare tanto piacere
la compilazione di dizionari d’arte contemporanea, a
uso e consumo di cultori dei limiti racchiusi tra una lettera
d’inizio e una di fine, propongo una rilettura aperiodica
e a puntate dei termini a mio avviso davvero rilevanti componenti
l’armadietto dell’arte, preferendo a quella manualistica
l’adozione di un’interpretazione più realistica
e conforme ai fatti.
Buona consultazione. E che la vita sia con voi.
(LITTLE TOWN) ITALIA
Questo è il paese dove tutti si incontrano (e per dovere
si scontrano), chiunque si (ri)conosce (per poi inspiegabilmente
dilettarsi nella superflua disciplina dell'ignorarsi) e ognuno
è al corrente (di modo che la parlata si trasformi
pronta in sparlata e ogni cosa possa attaccarsi, denigrarsi,
perché ovviamente ed inevitabilmente chiunque faccia
o provi a fare sarà sempre degno di trascurabile attenzione
da parte di chi ha fatto e farà).
La dolce, consueta vita (dell'arte) che ha sede nell'amarognola
terra buffa dai bei colori, gran sapori, romantiche passioni
e burleschi amministratori euforicamente derisi in tutto il
restante mondo - che come la storia insegna qualcuno dovrà
pur interpretare l'ingrato ruolo del "diverso",
del meno fortunato, dello scemo del villaggio terra per far
sì che ogni equilibrio resti solido e che una sputacchiera
esista sempre - fa della teoria dei sei gradi di separazione
(quella per cui ogni persona conosciuta ci separa, attraverso
sei suoi simili, sei possibili "pioli" di una scala
che è l'umanità intera, dalla conoscenza di
un perfetto estraneo che vive chissà dove e che a sua
volta, arrampicato anch'egli su quella scaletta che vedo sempre
più barcollante, ci separa da un altro ancora e così
via, rendendo quindi ogni individuo interno al nostro capitale
relazionale un valore esponenziale col quale rapportarci alla
demografia mondiale) una pratica quotidiana, aspirando da
ogni possibile sfiato che possa anche solo presumibilmente
tramutarsi in opportunità ogni linfa presente, intravista,
intuita, prevista.
Utile segnalare l’applicazione della tesi dei sei gradi
di separazione ai censimenti sessuali umani: in breve, vi
siete scopati ogni compagno passato del partner che state
scopandovi, ma questa ci piace fingere sia tutta un’altra
storia… VERNISSAGE
Per alcuni è ricerca forsennata protesa ad un apprendimento
professionalmente impeccabile del "who is who" dell'arte,
per altri insostituibile mezzo d'adescamento taglie (sapete,
quegli umani-utilities da installare come sistema operativo
nella pagina relativa della propria rubrica telefonica così
da aggiornare il software di collezionismo nomi, riparandosi
alla consolatoria ombra del "non si sa mai"; stessa
dipendenza sfocia nei casi di maggior demenza nella raccolta
random di biglietti da visita... ooppssss... di business cards
da consultare deviatamente nei rari momenti di solitudine
domenicale), per i restanti sede di free drinks e stuzzichini
a profusione la cui statura decide di frequenza e sostituisce
quella della ragion prima (mai pura) per cui ci si dovrebbe
trovar lì, ovvero la mostra.
Per nessuno, di fatto, è la mostra a mostrarsi, ma
l'altro a interessare, il finto collega o il vero nemico,
e con loro le rispettive conquiste corporee (quasi mai amorose),
la griffe indossata e la durata, il tempo cioè di permanenza
presso una sede rispetto alla successiva e alla precedente.
A inaugurare non è l'evento, ma il perfezionamento
delle unità di misura - siamesi rispetto a quelle dello
spettacolo di bassa lega, dello sport cafone e del puttaneggiare
senza ricordo - con cui calibrare il circondario.
Al vernissage si guarda e ci si fa guardare, motivando l'evidente
sproporzione di pubblico di cui gode una galleria gloriosamente
nota (quelle di nome, per intenderci, e non per forza di fatto)
rispetto ad una meno interessata alla forma formale, ma magari
più alla ricerca contenutistica del fatto (questo e
nient'altro non può che spiegare la relativa inconsistenza
di pubblico “di settore” presente alle performance
multimediali del grande Pierre Hébert proposte all'Init
di Roma lo scorso settembre quanto alla rilettura teatrale
del Woyzeck da parte di William Kentridge, all’Eliseo);
in pratica non è l'interesse espressivo che dovrebbe
risiedere nel moto a luogo verso l'arte a condurre le masse,
ma quello che calcola-pondera-soppesa chi sarà lì
e chi altrove, dove è più "consono"
farsi vivi e dove restare morti. EDITORIA
PERIODICA ARTISTICA
Poco diversificato e di quasi totale irrilevanza ai fini oggettivi
di una critica super partes, il panorama delle riviste d’arte,
specie quello nostrano, soffre d’una irreversibile patologia
da spazio pubblicitario/fatturazione commerciale. Per il sempre
più avido proprio sostentamento, che da impellenza
si è subitaneamente tramutato in ingordigia, le testate
cartacee e virtuali mirano alla maggior acquisizione possibile
di messaggi promozionali “di genere”, la cui presenza
tra lo sfogliare viene quasi puntualmente seguita o anticipata
da una lusinghiera recensione critica (una contraddizione
in termini, il fatto che la critica sia sempre lusinghiera,
no?!) rivolta all’ultima mostra allestita proprio, guarda
caso, dentro lo spazio che ha sborsato i suoi dobloni per
comprarsi la pubblicità (e non solo, a quanto pare).
Imbarazzante quanto la politica e le evidenze negate, l’omissibile
acritica editoriale che imperversa, fatta di negligenze, convenienze
e completa indifferenza alla sostanza arte, miete vittime
copiose chiamate abbonati assieme a scribacchini laureandi
o accademici con tempo libero, tutti lì piegati a 90°,
nostalgicamente tanto somiglianti ai rassegnati saranno famosi
di sempre. |
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