Inaugurato dopo alcuni slittamenti della data di inizio, dopo un preavviso agli artisti invitati di sole tre settimane (con parecchie prevedibili defezioni, come fa notare Paolo Canevari), finanziato dalla Fondazione Roma, il padiglione Lazio vuol rappresentare “la creatività della regione Lazio degli ultimi dieci anni “ raggruppando artisti di provenienza alquanto variegata, compresi tra gli 86 anni di Bruno Canova e i 27 di Stefano Mezzaroma, nel mezzo un’eterogenea schiera di “pittori, scultori, fotografi, ceramisti, designer, video artisti, grafici” come promesso da Vittorio Sgarbi alla presentazione della “sua” Biennale.
Gianmarco Chieregato, fotografo romano, è stato invitato a partecipare, lo ha fatto esponendo uno dei molti ritratti per i quali è famoso, una sofisticata Xenia Rappoport (2010), attrice di San Pietroburgo, vincitrice del David di Donatello 2007 come miglior attrice protagonista per “La sconosciuta” di Giuseppe Tornatore, premiata a Venezia nel 2009 con la Coppa Volpi per l’interpretazione nel film “La doppia ora” di Giuseppe Capotondi.
L’eterea bellezza del soggetto ha evidentemente suggerito il filo conduttore del ritratto, la leggerezza, declinata nelle sfumature cromatiche di delicati accordi tonali, nella posa raccolta e dinamica della forma librata nell’aria, nell’ariosità della chioma, null’altro sulla scena se non il vuoto pulito ed essenziale di un ambiente irreale, senza riferimenti spaziotemporali.
L’accentuato sviluppo in verticale dell’immagine suggerisce l’idea della forza di gravità alla quale sembra opporsi in perfetto contrappunto: i piedi intrecciati, le braccia aderenti al corpo nella postura di un atleta del salto che si prepari ad una performance minimizzando la resistenza dell’aria, tutto esprime naturalezza e lievità.
Insolito il tema, il salto, un breve attimo di instabilità librato nel vuoto, nell’aria, un elemento non congeniale all’uomo, lontano dalla solida affidabilità del suolo.
Tema che si lega da sempre all’idea del movimento repentino di un’azione veloce e imprevedibile con una certa componente di incertezza, tanto che i luoghi comuni che utilizzano la metafora del salto per indicare precarietà e discontinuità si sprecano: salto nel buio, salto in classifica, salto di qualità, salto temporale …….
Celebri fotografi del passato (fra i quali Cartier-Bresson, Doisneau, Avedon fino al provocatorio “Saut dans le Vide” di Yves Klein) hanno interpretato questo tema in diversi modi personali, a loro bisogna rendere merito di aver operato, peraltro con risultati eccellenti, con tecnologie relativamente grossolane. Oggi, con macchine fotografiche capaci di sparare veloci raffiche di fotogrammi e con autofocus di ultima generazione la possibilità di ‘congelare’ l’azione è senz’altro più elevata, anche se alcuni scatti di parecchi anni fa reggono egregiamente ancora oggi ogni confronto, a conferma che “attrezzatura e tecnica sono solo l'inizio. È il fotografo che conta più di tutto.” (John Hedgecoe )
Artonweb: Gianmarco, raccontaci come e perché hai realizzato questa foto, come è nata l’idea, i trucchi (se ce ne sono), i fuori programma, i dietro le quinte.
Gianmarco Chieregato: Trucchi non ce ne sono, quando si deve realizzare un servizio per la promozione di un film si cerca di costruire più situazioni possibili, in modo da coprire tutta la stampa dando ad ogni rivista immagini diverse.
Il tempo non e' mai molto e quando "non so cosa fare" faccio saltare i miei personaggi.
Questo non vuol dire che il salto per me sia una foto di risulta nata dal vuoto creativo, mi piace molto far saltare la gente, anche se può sembrare scontato il volo appassiona, mi piace vedere le persone ferme nell'aria come se fossero uccelli, ma anche se in fotografia, per un attimo, si può dare l'idea di annullare la gravità, ovviamente il fotogramma seguente ci toglie immediatamente quest'illusione.
Nel salto potrebbe sembrare che sia tutto casuale, in realtà la posizione va"guidata", io dico sempre di provare a tenere le gambe e le braccia in un certo modo, come pure bisogna controllare l'espressione, non fare smorfie di sforzo che rovinerebbero tutto, poi bisogna illuminare il soggetto, io spesso lavoro con luci "strette" che bisogna dirigere dove si presuppone che il soggetto arrivi; comunque c'e' anche una buona dose di improvvisazione e di fortuna, ma non dico nulla di nuovo, queste componenti sono sempre presenti nella vita, non soltanto in fotografia.
Poi, se il modello ha un'esperienza di danza, ciò aiuta notevolmente perché è capace a librarsi in aria in modo armonico e non ha"paura" di farsi male.
E comunque non bisogna insistere molto, dopo alcuni salti si suda e le espressioni, come il corpo, si "stancano".
E' curioso come, quando chiedo ad una persona se se la sente di saltare, questa mi guardi sempre in modo strano, quasi non avesse capito bene ed è buffo come alcuni soggetti riescano ad alzarsi soltanto di pochi centimetri, come se il loro corpo fosse di cemento, altri volino che è una meraviglia.
Scattare questo tipo di foto mi fa sentire molto cacciatore, le prede sono le immagini, le posizioni, non si uccide nessuno e si cerca di catturare il bello.
Artonweb: Il tuo scatto vuol ‘cogliere l’attimo’, per usare un’espressione in questo caso molto appropriata, di una posa che non si può certo mantenere a lungo (o almeno così si presume), seppure la compostezza e l’equilibrio del risultato finale contrastino con questa possibilità. Mi sentirei di dire che c’è in te la volontà di unire improvvisazione e controllo, l’una espressa dalla provvisorietà della situazione, l’altro dalla perfezione dell’esecuzione.
Voglio dire, il tema del salto, di per sé legato all’idea di movimento, come si concilia concettualmente con questo perfetto fermo immagine? E come hai deciso che proprio quella foto fermava “le moment decisif”, che conteneva in sé “l'essenza di una situazione"?
Gianmarco Chieregato: In genere cerco di guidare l'armonia del movimento, mentre si scatta si sente se c'e' la foto giusta, oggi col digitale si può controllare come su una polaroid se quello che si è fatto va bene o no e così o si va avanti per provare a far meglio o ci si ferma non mettendo a rischio le caviglie dei modelli.
I ballerini insegnano che con i muscoli freddi cadere di peso su una superficie dura, come il cemento dello studio per esempio, può essere dannoso, purtroppo non si ha sempre un parquet a disposizione.
Lo scopo è catturare un movimento e bloccarlo in un fotogramma, ma per assurdo meno si da l'idea del movimento ‘bloccato’ e più la foto è bella ....
Artonweb: Spesso i tuoi ritratti sono ambientati in un contesto strumentale al messaggio che vuoi trasmettere, in grado di suggerire o amplificare il significato dell’immagine, mentre in questo caso hai scelto un ambiente vuoto, movimentato solo dalla luce. Non temi che il personaggio risulti in un certo senso banalizzato da questa scelta neutra? O pensi che ne risulti esaltato per contrasto? O era semplicemente una richiesta della committenza?
Gianmarco Chieregato: Nei ritratti non c'è quasi mai una richiesta condizionante della committenza, altrimenti sarebbe un beauty, un primo piano che deve rispondere a certe esigenze commerciali diventa un bel primo piano dove sarà messo in risalto il trucco, il gioiello, l'accessorio e via dicendo.
Se il ritratto è ben riuscito non è importante l'ambiente che lo accoglie, anche se a me aiuta molto trovarmi in uno spazio coinvolgente, ma paradossalmente spesso lo escludo tagliando molto la foto o lo esalto esasperando le proporzioni, in definitiva l'elemento più importante è la luce.
La luce plasma lo spazio, la brutta luce rovina e banalizza la foto.
Una piccola parentesi sulla tecnica.
Ci tengo a precisare che il digitale aiuta perché dà la possibilità di controllare continuamente il lavoro effettuato, ma l'uso della fotocamera è identico a prima, il computer permette di migliorare certi errori più facilmente, lo faceva anche il vecchio stampatore con i trucchi del mestiere, ma questo non vuol dire che tutto sia più facile, scattare a raffica non garantisce nulla e poi se si considera il tempo del salto la raffica ti permette di catturare un paio di fotogrammi in più........ e spesso non serve perché bisogna cogliere l'apice del volo, gli attimi precedenti-seguenti spessissimo non sono così efficaci.
Lo scatto veloce, il cosi detto "motore", esiste da tanti anni e credo che anche alcuni degli illustri maestri che hanno realizzato in passato foto meravigliose già lo usassero.
Non staccare l'occhio dal mirino per ricaricare l'otturatore è una gran cosa quando si vuol fermare il movimento, altrimenti il movimento lo fermi col "tempo", cioè ripeti continuamente lo stesso movimento fino a trovare l'immagine desiderata. Comunque è vero che tante volte, come nel "CACCIATORE", è questione di "un colpo solo".
Artonweb: Bene, ho capito, “è un'illusione che le foto si facciano con la macchina.... si fanno con gli occhi, con il cuore, con la testa.” (H.Cartier-Bresson), ieri come oggi.
Grazie a Gianmarco Chieregato! |