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La concezione dell’arte in Van Gogh: cenni critici
di Riccardo Ianniciello
pubblicato il 26/04/2018

Una profonda comunione con la natura, una dedizione folle, dannata e assoluta per l’arte, una scelta di vita radicale e necessaria alla quale sacrificare tutto sé stesso: nell'epistolario con il fratello Theo il testamento artistico ed umano di Vincent Van Gogh.

Attingendo alla inesauribile miniera delle lettere che Van Gogh scrisse al fratello Theo possiamo tentare di delineare la concezione che l’artista olandese aveva per l’arte e dunque per la stessa vita in quanto esse sono strettamente e indissolubilmente legate. 

Van Gogh ritiene che il pittore debba avere una profonda comunione con la natura e dedicarsi ad essa completamente, perché ciò che facciamo meglio è quello che abbiamo appreso più a fondo, attraverso l’esperienza diretta, il contatto continuo con gli elementi naturali e infine i frutti cadranno dal ramo, sarà la nostra “fioritura inconscia” come scriveva Thoreau, un altro grande poeta della natura.

Vincent Van Gogh,"Seminatore al tramonto",
1888, olio su tela di 64x80,5 cm

Annota Van Gogh: «E’ dovere del pittore essere completamente preso dalla natura e usare tutta la sua intelligenza nel suo lavoro per esprimere ciò che sente, di modo che la sua opera possa divenire intellegibile agli altri».  «Non è il linguaggio dei pittori, ma quello della natura che bisogna ascoltare».
E altrove: «Vedo che la natura mi ha detto qualcosa, mi ha rivolto la parola e io l’ho trascritta in stenografia. Nella mia stenografia ci sono forse parole che non si possono decifrare, forse errori o vuoti; ma in essa c’è qualcosa di quanto mi ha detto quel bosco o quella spiaggia o quella figura, e non si tratta del linguaggio addomesticato o convenzionale derivato dalla maniera che è oggetto di studio o da un metodo piuttosto che dalla natura stessa». Ma per guardare bene la natura occorre avere la giusta sensibilità, perché un uomo, pur avendo tutti i sensi perfettamente sani, può non vedere la natura, sentirla nel modo giusto. In altre parole senza sensibilità artistica non puoi cogliere la poesia della natura e il linguaggio dei campi che Van Gogh ricerca incessantemente.
Inoltre, condizione imprescindibile per una vera crescita artistica, è non solo amare la natura ma disegnarla dal vivo: «Quando vedo dei giovani pittori che compongono e disegnano a memoria – e poi ci spalmano sopra a caso quanto vogliono, questo pure a memoria – poi guardano il risultato da lontano assumendo una espressione triste e misteriosa mentre cercano di scoprire a che cosa assomigli, in nome del cielo, e infine ne tirano fuori qualcosa, sempre a memoria – a volte mi disgusto, a volte penso che tutto ciò sia estremamente tedioso e poco edificante».
E’ evidente qui come la pittura che si sposa con la vita sedentaria, facendo ricorso alla fantasia o alla sola memoria, risulta per Van Gogh essere legnosa, insulsa a leggersi. Egli naturalmente è ben cosciente che un pittore dev’essere innanzitutto un buon artigiano: «L’arte richiede un lavoro persistente, lavoro malgrado tutto e osservanza continua…»  «Il senso artistico si sviluppa e matura col lavoro». E ancora: «Bisogna lavorare a lungo e duramente per afferrarne l’essenza (...) voglio fare dei disegni che vadano al cuore della gente».
Vincent Van Gogh, "Campo di grano con corvi"
1890, olio su tela di 50,5 x 103 cm

Altrettanto importante per Van Gogh, ai fini di una resa pittorica vera è il dipingere quando si è ancora caldi, perché un pittore che rimanda ciò che sente dentro di sé adopera un ferro già freddo, discorso valido anche per la scrittura come sa bene chi se ne intende: «Ma ora vengo a quello schizzo (…) e te lo mando per farti vedere come il mio album di schizzi dimostri che cerco di catturare le cose a caldo». 
E in quest’altro passo: «Mentre lo dipingevo mi dicevo: non devo andarmene prima che ci sia in esso qualcosa d’autunno, qualcosa di misterioso, qualcosa di serio. Ma dato che questo effetto non dura, dovevo dipingere in fretta. Le figure entrarono in un attimo con alcune pennellate forti».

L’artista olandese è attratto dalla condizione dei contadini, dei tessitori, dei minatori con i quali viveva a stretto contatto e, attraverso la pittura e il disegno, ha inteso raccontarne il dolore, la silenziosa e dignitosa sofferenza, evidenziandone lo stoicismo e la capacità di sopportazione, quasi un percorso di espiazione, perché, scrive Van Gogh «saper soffrire senza lamentarsi, questa è la sola pratica, questa la grande scienza, la lezione da apprendere, la soluzione al problema della vita».
In questo senso Van Gogh può essere considerato pittore sociale, poiché attraverso la pittura denuncia la condizione miserrima delle classi più deboli su cui molti sorvolano e che molti dimenticano.
Egli stesso del resto sceglie deliberatamente di vivere in semplicità, povero tra i poveri: «E’ vero che spesso mi trovo nello stato più miserando, ma resta sempre un’armonia calma e pura, una musica dentro di me. Vedo disegni e dipinti nelle capanne più povere, nell’angolo più lurido. E’ la mente è attratta da questa cose come da una forza irresistibile».

Vincent Van Gogh, "Campo di grano con sole nascente"
1889, olio su tela di 71 x 90,5 cm

Tra tutti gli aspetti fin qui presi in considerazione, quello che mi sembra occupare un posto fondamentale nella concezione che Van Gogh aveva per l’arte è che questa richiede una dedizione completa che diventa scelta di vita radicale: il non darsi i limiti di un lavoro ordinario va inteso proprio nella volontà dell’artista di potersi svincolare dagli obblighi sociali e di dedicarsi completamente alla pittura, un proposito che poté realizzare grazie al supporto economico di Theo che aveva compreso quale grande artista fosse il fratello, un sodalizio umano e culturale che si è rivelato di enorme portata. «Se fossi stato adatto a fare il pastore o il mercante di opere altrui allora forse non sarei stato adatto a disegnare e dipingere e non sarei né mi sarei licenziato». Dunque, per Van Gogh l’arte è la vita stessa ed egli è pronto a sacrificarsi per essa: «Più divento dissipato, malato, vaso rotto, più io divento artista, creatore, entro quel grande riconoscimento dell’arte di cui parlavamo…»
E Van Gogh era tristemente consapevole che quella dedizione folle, dannata e assoluta per l’arte lo avrebbe consumato fino alla morte prematura che egli aveva predetto con terribile preveggenza: ci consegna così, attraverso una profonda poetica, il suo straordinario testamento artistico, in ultima analisi una lezione di vita di incommensurabile valore. 


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