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A Venezia…. due artisti quasi shocking
di Stefano Elena
pubblicato il 19/07/2007
Revenge (logo)
Vascellari all'ingresso della sua Revenge
(Arsenale, Venezia) Foto Anna Simone
VB 61 Foto Anna Simone

Deve esser chiaro che la Biennale di Venezia non necessita di ulteriori approfondimenti nella sua veste ufficiale, in quanto cioè evento internazionale, fermata d'obbligo per mosquito e arti visive.
La uso, la Biennale, questa volta, come semplice sede di opere di artisti (per quanto la Beecroft non fosse interna alla kermesse) dei quali avevo voglia di tratteggiare una breve presentazione - spesso doverose, a volte per meritocrazia altre per sola notorietà maxima.


NICO VASCELLARI
(Vittorio Veneto, 1976. Vive tra V.V., Bologna e New York)

Giovane (qualche diceria induce a inventariare come giovani gli artisti che non abbiano superato il 35simo anno di vita) e veloce.
Alterna, mischia, combina e confonde tra loro sonorità hardcore/postpunk (è frontman del gruppo With Love), video, performance e installazioni, in ordine sparso.
Poco prima che questo nodo nervoso si ecciti ulteriormente, che quest'insieme di umori maligni si coaguli per diventare residente, inamovibile e poi stantio, il nostro lo sputa fuori assistendo attento e curioso al tipo e grado di coinvolgimento che questo ennesimo rigurgito traboccante eserciterà su sé e sugli astanti tutti.
Non è però bene ritenerlo un multimediale (che suona offesa peggiore di questurino) perché, dice, "…se guardo sopra voglio anche guardare sotto. Dentro e fuori. E' sempre una questione di piani e livelli".
Che magari potrebbe somigliare, la questione, a un grosso pentagramma in cartongesso dove il suono cerca di entrare anziché uscire, di sostare tra un piano e l'altro, sdraiato a faccia in giù, sino a cominciare a sudare tanto, a sciogliersi per poi non esserci più…
Visioni a parte, dire "cosa fa" Vascellari non è cosa pensabile/possibile.
Posso però assicurarvi che, nonostante la febbrile attitudine performartiva e l'agitazione dell'immobilità di certe foto, nonostante quindi l'evidente bisogno di esserci, di fottersi corpo e cervello standoli a guardare mentre gridano o si segregano nel buio primario di zona, Vascellari è bravo dopo, ad esserci quando non c'è più. E' piacevole, quanto si sente quando tutto è finito, gli odori e i silenzi che lascia lì, la solitudine di gruppo inalienabile e forte.
Vascellari potrebbe essere un Genesis P. Orridge che esce con Jello Biafra e Gary Numan per andare al drive-in a vedere il Bad Karma di Chandon e poi al concerto di Boris Ex Machina. O forse è solo un tipo che va coi Vascellaris a farsi una pizza dove l'insegna è fatta di neon e glitter.


VANESSA BEECROFT
(Genova, 1969. Vive a Los Angeles)

In occasione dei giorni inaugurali della Biennale, la Beecroft ha presentato, presso la Pescheria di Rialto, "VB 61 - Darfur Still Death! Still Deaf?".
Immersa tra i suggestivi effluvi ittici del luogo, la nuova performance - dedicata ai massacri africani e più precisamente al genocidio del Darfur, regione del Sudan - di uno degli artisti più affermati del mondo, vedeva circa 30 donne sudanesi sdraiate a pancia in giù, su di una grossa tela/palcoscenico. Immobili, senza muoversi e fiatare, circondate da pennellate e schizzi di sangue rosso sangue, le modelle come morte della Beecroft hanno sicuramente ben chiarito lo stato di patimento zitto che un paese - tra sventramenti e esecuzioni altre - può, DEVE, sopportare. E lei, l'artista/regista/coreografa, era lì, in ossequioso silenzio anch'ella e forse un po' incazzata o impegnata o concentrata. E pareva che quella sua fissità, quel suo non batter ciglio, fosse quello che decideva il da farsi, che imponeva l'unanime fine a terra: tutti giù per terra, tutti sottoterra.
La Beecroft è un direttore d'orchestra che (da sempre) recluta ragazze abbigliate e disposte in modo da sembrare identiche una all'altra, per una visione attuale dell'idea di bellezza e dei suoi modelli, sempre più indistinguibili, seriali, pubblicitari. Una bellezza che non esiste più perché ne esiste troppa, uguale a quella di ogni altra "figura" presente.
Per chi è certo che le fighe siano Jlo, le veline e le Corona's girls, le performance della Beecroft possono aiutare a trasformare l'abitudine in superstizione.

Di recente l'ambiente artistico è stato tenuto ad assistere a una serie di disgrazie dal tenore decisamente greve, accadute per di più in una successione ravvicinata che non ha fatto che ispessire ulteriormente la tragicità di un periodo decisamente maledetto, per l'arte. Perché anche se avvenimenti simili accadono di continuo, in qualsisi parte del mondo e in tutte le "stanze di lavoro", la prossimità dei percorsi intrapresi (professionali in questo caso) sa creare una sorta di istintuale vicinanza umana, illustre assenteista invece - e nell'arte il fondo di tale vuoto è sempre più profondo - nel mondo dei colleghi che sono ancora tra noi, liberi e sani.
Queste poche righe inutili vogliono render conto di questo, di quanto cioè sarebbe più bello e più utile esserci anche quando non serve, sentire vicinanze che non debbano venir minacciate da rivalità inconcludenti, snobismi da consorterie condominiali e tutte le altre minchiate tipiche (purtroppo tipiche) di certi approcci dell'uomo all'uomo.
Perché, sennò, diventiamo tutti patetici e scontati come le rassegne cinematografiche dei registi morti la notte prima.

Queste poche righe inutili salutano:
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Alessandro Riva
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