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Ignazio Fresu intervista Franco Farsetti
pubblicato il 4/05/2010 |
Il denaro non può fare
la qualità dell'arte che è una cosa in sé. |
IL DENARO NON FA LA QUALITÀ
Ignazio Fresu intervista Franco Farsetti
da: www.skeda.info
Ignazio Fresu - FarsettiArte è
luogo d’aggregazione per collezionisti e appassionati
d’arte, uno spazio che avvicina la città all’arte
visiva al livello di un museo internazionale. Come è
nata e come si confronta oggi con il territorio la FarsettiArte?
Franco Farsetti - Nel 1962 cominciamo a fare
le aste e da subito con grande successo perché in Italia
esistevano solo Breda e la Finarte. Poi Breda chiude e restiamo
solo noi e Finarte. Diciamo che col tempo sono maturate delle
difficoltà nei confronti con la città, i frequentatori
sono meno di prima. Anche se la nascita del Centro Pecci ha
dato un impulso alla nostra attività inizialmente,
perché era percepito come novità, successivamente
il sodalizio con la città non ha tenuto e gli amministratori
non hanno saputo fare da trait-d’union Ignazio
Fresu - E tuttavia il rapporto con cittadinanza
sembra molto forte: FarsettiArte è percepita collegata
a Prato. Il rapporto deficitario è con le strutture
politiche o con i pratesi in quanto meno interessati?
Franco Farsetti - Inizialmente avere a Prato
una casa d'aste era sentito come una novità. Nei 62
il TG dette per due volte la notizia della nostra costituzione
perché per l'epoca era un avvenimento. Oggi però
siamo dovuti andare oltre Prato a Milano e Cortina: i pratesi
mi sembrano oggi molto meno attenti di prima. Ignazio
Fresu - Forse la crisi ha il suo peso?
Franco Farsetti - Non necessariamente: gli occhi
per guardare non fanno crisi. Si può andare all’esposizione
di una casa d’aste come si va a una mostra, e noi ne
abbiamo fatte di belle: Boccioni, Balla il Futurismo. Ma,
per esempio, con Utrillo a Prato abbiamo avuto 20 visitatori.
Cosa vuol dire questo? Noi ci siamo organizzati per proporre
le mostre a Cortina e poi svolgerle a Milano e per riportarle
poi a Prato. Ma dopo Utrillo dovremo limitarci a Cortina e
Milano. Ignazio Fresu - Esiste
una differenza con le aste di arte contemporanea che ben gestite
e che sono di livello internazionale? Forse sono frequentate
maggiormente, o no? Franco Farsetti
- Se devono verificare l’interesse di Prato sono una
pessima cartina di tornasole perché le aste richiamano
una partecipazione da tutta l'Italia con molta più
frequenza da fuori che da Prato. Ignazio Fresu
- Il mercato dell’arte oggi si fonda sempre più
sul legame tra valore artistico e valore economico, cosa pensa
del denaro come indice di qualità di un’opera
d’arte? Franco Farsetti
- Il denaro non può fare la qualità dell'arte
che è una cosa in sé. Certo c’è
il percorso di un grande artista che si afferma anche economicamente
e questo va bene ma ci sono anche bufale in modo analogo a
quanto è successo per la borsa. Ma il tempo è
galantuomo, bisogna vedere se fra cinquant’anni questi
“squali” restano o scompaiono. Ignazio
Fresu - Ultimamente le quotazioni artistiche
sono volate, come interpreta questo fatto?
Franco Farsetti - Si lega a quanto detto sopra, Intanto
se c'è una bufala questa inizia non dall'Italia ma
da Londra e New York dove tutto viene visto in funzione dei
soldi tanto che tutto il sistema risente di questa impostazione.
Ma il tempo dà ragione a tutto. Ci sono degli artisti
che hanno fatto un escursus con prezzi giusti.
In effetti bisognerà vedere per esempio, se Jeffrey
Koonsrimarrà famoso e se sarà ricordato solo
come il marito di Cicciolina.
Noi non facciamo mercato, facciamo anche quello, ma di riflesso.
E non possiamo “inventare” un artista perché
ci vuole tutta una attrezzatura che non abbiamo. Dobbiamo
trovare un artista che abbia fondato qualcosa, una scuola
di pensiero o qualcosa di simile. E poi ci sono delle cose
improvvise che nessuno comanda e che magari poi scompaiono.
Ignazio Fresu - All’inizio organizzavate
salotti di artisti... Franco Farsetti
- Negli anni Cinquanta è arrivato a Prato Frank Burattin
che, conoscendo artisti e pittori, ha fatto venire una serie
di personaggi emergenti e poiché l'unica galleria che
aveva del credito era la nostra, nella vecchia sede ebbe inizio
una certa aggregazione, dalle 6 alle 7 del pomeriggio. Io,
ho avuto delle lezioni di storia dell’arte straordinarie,
da personaggi come De Micheli, Marchiori, Franco Russoli e
decine e decine di critici e poi tutti i pittori, veneti,
principalmente, ma anche del milanese. Inoltre a Prato, all'epoca
c'era un gruppo di collezionisti che compravano e quello che
è poi diventato il più grande collezionista
europeo, Gori Giuliano, anzi ormai una istituzione europea
che dagli anni Cinquanta ha sempre creduto nell’arte
e ha sempre comprato. Ignazio Fresu
- Cosa auspica per Prato e per FarsettiArte?
Franco Farsetti - Ora è bene che la gestione
passi ai figli, e il cambiamento è inevitabile: ci
sono mezzi di comunicazione nuovi, c’è internet
e tutto il resto. Diciamo che Prato comincia a diventare stretta,
non dico che debbano spostarsi da Prato, ma devono andare
nel mondo: e del resto il 70/80 per cento delle nostre vendite
avvengono al di fuori da Prato e non perché ora c'è
crisi, la percentuale è questa ormai da dieci/quindici
anni a questa parte. Ignazio Fresu
- Se ci fosse un personaggio come Burattin oggi, potrebbe
esserci una nuova fioritura? Franco
Farsetti - Il problema non sta tanto nei personaggi come
Burattin, ma nel fatto che non c’è più
aggregazione. Oggi si vende a punti, si calcola se l’opera
è grande o piccina, ma se è brutta è
brutta sia grande che piccola, non può valere in proporzione.
Gli artisti sembrano tutti amici e poi c’è una
forte rivalità fra loro. Non è che manchi manca
l'amore per l'arte, è che è tutto finalizzato
al denaro, ma dobbiamo tener conto che il denaro finisce,
prima o poi. Di magnati ce ne sono pochi o non ce ne sono
più. Vien fuori una specie di mercato che pompa i fenomeni.
Non è il mio caso, io fo il mercante, compro e vendo.
Però ormai ho visto quattrocentomila quadri e un po'
di selezione la fo con gli occhi, quando guardo. Oggi invece
si va a trovare l'assurdo, bisogna scioccare, e poi magari
dopo dieci anni il fenomeno costruito, sparisce. |
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